ADANGGAMAN
ADANGGAMAN
un film de Roger Gnoan M’Bala
France/Suisse/Côte d’Ivoire/Burkina Faso/Italie 2000, 35mm, 90′, v.o. gouro/more/senoufo, st. français/anglais/italien
Festivals & Prizes
Festival du Cinéma Africain, Khouribga, Maroc 2002 – Prix meilleure musique originale
Amiens 2000 – Prix spécial du jury et Prix meilleure interprétation masculine (Ziable Honoré Goore Bi)
1er Festival de Marrakech, 2001 – Grand Prix du Jury
Festival Panafricain, Fespaco, Ouagadougou 2001 – Prix meilleure photographie (Mohammed Soudani), Prix meilleure interprétation féminine (Albertine N’Guessan)
Mostra del Cinema, Venezia 2000
Toronto international film festival, 2000
Black Movie, Genève 2002
Synopsis:
XVIIème siècle : un village africain du golfe de Guinée semble avoir échappé par miracle à la chasse aux esclaves du puissant roi Adanggaman, tyran esclavagiste passionné d’or, de pouvoir, de rhum et amateur de pacotille. Le vieux N’Go, qui dirige son foyer avec un esprit de caste et sous une autorité sans partage, tente d’imposer à son fils Ossei une jeune fille de famille aisée, Adjo. Rebelle, d’un tempérament indépendant, Ossei refuse de se soumettre à l’autorité paternelle car il aime Mawa. Une nuit, au paroxysme du conflit familial, Ossei quitte le village. C’est le moment que choisissent les Amazones d’Adanggaman pour mettre à feu et à sang le village et capturer hommes, femmes, enfants ainsi que la mère d’Ossei, Mô Akassi….
THE NEW YORK TIMES
The film's Ivory Coast-born director, Roger Gnoan M'Bala, blends truth and fiction, and the storytelling is so simple that its directness feels fresh and rousing. The scenes of Africans marching in chains and stocks, monitored by other Africans, are a shock and linger in your mind for days afterward."
,LE DEVOIR
"Fable terrible sur l'esclavage, qui interroge crûment la responsabilité africaine en la matière."
,LE MONDE
"Evocation forte et rigoureuse du versant africain de la traite négrière."
,L'UNITÀ, 22.9.01
" Adanggaman ", alle radici della schiavitù, di Dario Zonta
" Adanggaman " è un film che non vedrà nessuno. Perché è un piccolo film africano che tratta temi che ormai non interessano più nessuno se non i cultori della materia affossati in richerche storiche. Perché non gode delle mirabilia del cinema degli effetti. Eppure " Adanggaman " è un film che tutti dovrebbero vedere perché riscopre una funzione fondamentale del cinema che consiste nel riaprire vecchie ferite cucite dall'oblio e dall'indifferenza e nel riportare alla memoria eventi di un passato lontano che ancora gioca come causa di questo presente che ci vogliono far intendere a tutti i costi come insensato.
Il trentenne (sic) regista ivoiriano Roger Gnoan M'Bala con " Adanggaman ", quinto lungometraggio, decide di tornare sui temi della schiavitù africana ai tempi dell'espansione coloniale nord europea e lo fa girando nella toppa della storia una chiave di lettura particolare ed efficace: la favola ancorata agli eventi di una realtà dolorosa e vera. Lontano dagli esotismi pedagogico-letterari delle messe in scene televisive sulle " radici " di tutti i Kunta Kinte della storia della schiavitù, e altrettanto distante dalla violacee colorazioni autoriali di registi americani alla Spielberg, Gnoam M'Bala sceglie la struttura metaforica della favola per raccontare, in terra africana, agli albori della svendita umana, la storia di Ossei e della sua famiglia massacrata dalle razzie delle spietate amazzoni armate dal re Adanggaman.
Ossei scampa alla caccia grossa perché si ribella, la sera prima del tragico evento, alla decisione del padre che lo vuole sposato con la figlia di una ricca famiglia, fuggendo nella foresta, ma i bagliori lontani dell'incendio e della devastazione lo riportano alla tragica realtà. La donna amata e il padre giacciono morti tra le macerie, mentre la madre in catene viene portata nel regno del tiranno per essere venduta in cambio di pecore, mucche e oro. Il regista ivoiriano si inoltra così nei meandri di una passione, di una violenza sofferta e subita a causa dell'avidità innanzitutto dei propri vicini e lo fa con un rigore visivo e narrativo che ricorda le ultime esercitazioni di Ermanno Olmi con " Quem es tu " che in egual modo hanno voluto ripercorrere gli eventi di una storia remota per cercare i motivi di una storia presente. In " Adanggaman " non c'è nessun intento però di vera e propria ricostruzione storica, né la volontà di restituire i tratti di una vita ancestrale con il vezzo dell'antropologo (la vendita all'asta degli schiavi, infatti non sembra storicamente rigorosa). Ma proprio qui è da rintracciare la virtù di questo piccolo film. La ricostruzione, che in ogni caso suonerebbe, come insegna Foucault, mistificante, cede il passo alla parabola, alla piccola lezione per non dimenticare i quattro secoli di commercio abominevole e vergognoso che ha inghiottito milioni di vittime negli oceani e nella brutalità.
- SUCCES D' "ADANGGAMAN" AUX ETATS-UNIS, EN ITALIE ET EN AFRIQUE
"Adanggaman", long métrage fiction de Roger Gnoan M'Bala, est sorti en salles aux Etats-Unis et, dès novembre 2001, en Afrique. Le film est une production Amka Films en coproduction avec TSI - Televisione svizzera, Fabrica Cinema. Il a reçu le soutien de la Fondation Montecinemaverità ainsi que de la Fondation Thomas Stanley Johnson.
Dès octobre 2001, il peut aussi être vu en Italie et le 12 avril 2002 il est sorti dans les salles de la Suisse italienne. Le film a beaucoup plu à la presse italienne, comme en témoignent les articles ci-dessous :
,IL SOLE-24 ORE, 30.9.01
Favola per tristi tropici, di Roberto Escobar
E alla storia in senso forte che Roger Gnoan M'Bala è interessato: alla terribile storia di un eccidio, a " quattro secoli di un commercio vergognoso e abominevole ", spiega, durante i quali milioni di vittime son state " inghiottite dagli oceani o trattate come bestie ". A loro, prosegue, è dedicato Adanggaman (Costa d'Avorio, Burkina Faso, Francia e Svizzera, 2000, 89').
E tuttavia la vicenda di Ossei (Ziable Honoré Goore Bi) e del suo villaggio ridotto in schiavitù è narrata come una favola. In ogni caso, benché una voce fuori campo la collochi in un'epoca precisa, la fine del dicassettesimo secolo, il suo tempo pare sia fuori dal tempo. O anche: il suo tempo somiglia a un presente " mitico ", in cui sta il significato stesso del tempo.
Con linearità narrativa e con ingenuità voluta, dunque, M'Bala e i cosceneggiatori, Jean-Marie Adiaffi e Bertin Akaffou, raccontano d'un eroe costretto suo malgrado a esserlo, eroe. I suoi nemici non sono in primo luogo i negrieri che vengono dal nord, gli olandesi o gli inglesi che comprano corpi e anime pagandoli con armi e rum. I suoi primi nemici stanno nel suo stesso villaggio, pronti già lì a " vendere " la sua vita in nome di un'autorità presuntuosa e cieca permeata di violenza. " Adanggaman " inizia con un amore che ha i colori e le voci di ogni amore: solo che Ossei e la sua bella sono costretti a rubare la loro felicità nascosti tra gli alberi, lontani dal controllo occhiuto degli anziani e, in particolare, del padre di Ossei, orgoglioso - dice - del proprio rango nobiliare. Lei, invece, è schiava e figlia di schiavo : non una donna in senso pieno, ma un oggetto, non qualcuno ma qualcosa. Ossei non può, non deve mischiare al suo il proprio sangue. In particolare, non può e non deve offendere il padre con una tale promiscuità e, per di più, con un no, con disonorante rifiuto d'obbedienza.
Già così, senza dichiarazioni di principio, senza invocare verità universali, la sceneggiatura pone l'assunta che poi reggerà il film: la schiavitù è negazione non solo della libertà materiale ma anche e soprattutto della dignità interiore dei singoli, e dunque affonda le proprie radici in ogni ordine e in ogni cultura che si nutrano di subordinazione. E per questo che M'Bala non ha bisogno di mostrare i volti dei negrieri europei, né di descrivere le loro proprie efferatezze. Gli basta mostrare i volti e le efferatezze di coloro che, nel mondo stesso di Ossei, si arrogano il diritto di concedere o negare dignità e libertà, distinguendo tra vite che meritano pienamente la vita e vite che possono essere violate.
Anche in questo senso vale la scelta stilistica che segna " Adanggaman ": in un tempo fuori del tempo, in un presente in cui sta il significato del passato e del futuro, l'eroe Ossei si trova a combattere un mostro che non " abita " solo l'orrore del suo secolo e del suo popolo, ma che minaccia gli uomini e le donne ovunque e in ogni tempo. Infatti, man mano che la vicenda si sviluppa, man mano che la favola si fa più crudele, in platea si ha l'impressione che Ossei valga ognuno di noi, e che il suo caparbio coraggio alla fine debba essere anche un po' nostro.
Chi sono le amazzoni vestite di arancione, se non le portatrici di una violenza che non può essere ridotta solo alla loro propria violenza ? Obbedienti e senza volto - o meglio, con volti resi tutti uniformi come maschere, impietriti nella smorfia di chi sappia solo amministrare la morte -, hanno la terribilità delle coscienze che si vietano da sé ogni diritto al dubbio. Sono loro a reggere il terrore da cui re Adanggaman alimenta il proprio dominio. Il loro fanatismo le rende invicibili e potenti, ma insieme svuotate d'umanità, esse stesse schiave della propria miseria morale. Come potrà combatterle Ossei, piccolo eroe forte solo d'un caparbio desiderio di dignità e di libertà ? A niente gli valgono le sue povere armi, a niente gli varrebbe anche il suo coraggio materiale, se insieme non avesse quello tutto interiore che lo induce a disobbedire. Trascinato di fronte al re, costretto a misurarne la potenza, tuttavia non si piega e - come già sua madre, Mo Akassi (Albertine N'Guessan) - trova la forza di dirgli di no.
Non vince la sua sfida, il coraggioso Ossei. Le amazzoni mute e obbedienti presidiano il dominio presuntuoso e cieco del re. Tuttavia, per un tempo breve, quel suo piccolo no produce una grande cosa: indotta dal suo esempio, Naka (Mylène-Perside Boti Kouame), una delle guardiane del potere, ritrova la voce della coscienza e, a sua volta, disobbedisce. Ed è questo soprattutto che, nel fim di M'Bala, rende giustizia ai milioni di uomini e di donne uccisi nell'anima e nel corpo: questo suo ritrovato coraggio di dire no.